L’insano oligopolio del rating

Pubblicato su: www.teleborsa.it

Lo strapotere delle tre sorelle

Da un più attento esame dell’attuale crisi cosiddetta da “debito pubblico” era sembrato possibile riscontrare una certa differenza tra il comportamento tenuto dalle società di rating durante la “fase ellenica” rispetto a quello adottato dalle stesse nell’attuale “fase di Dublino”. Infatti, come si ricorderà, nel tumultuoso periodo antecedente il salvataggio della Grecia, furono proprio Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch a creare enormi problemi ai tentativi europei di difendere l’Euro dalla speculazione sistemica apparentemente inarrestabile.

In quei momenti, la serie di down grade impressi con precisione chirurgica ai rating degli Stati dell’Unione in difficoltà, abbinati ad una serie di report – tra cui quello sulla tenuta del sistema bancario europeo incredibilmente pubblicato, in assoluta mancanza di urgenza, proprio al culmine della crisi – ebbero l’effetto di ritardare o vanificare ogni tentativo di risolvere il problema. Il risultato ultimo fu la contemporanea lievitazione sia del conto del salvataggio sia del sospetto che si stesse deliberatamente favorendo la speculazione sistemica.

Nell’attuale fase, invece, le Agenzie erano apparse un po’ più attente a non trasmettere ai mercati messaggi incendiari, più notarili e meno “castigamatti”, quasi timorose che un rinnovato atteggiamento destabilizzante avrebbe potuto, questa volta, mettere in serio pericolo uno strapotere sorto nel lontano 1909 ad opera di James Moody.

Tuttavia, il recente e violentissimo “uno – due” sferrato al volto dell’Irlanda dai down grade di Fitch e Moody’s (quest’ultimo di ben 5 gradini, record di tutti i tempi), abbinato alla gravissima minaccia di Moody’s stessa di ridurre il rating alla Spagna ed a quella di S&P di rivedere al ribasso il rating del Belgio, fanno temere che le 3 sorelle abbiano ricominciato a muoversi seguendo il collaudato schema dell’attacco in branco sferrato contemporaneamente contro più prede in difficoltà.

Se si tratti o meno della base per un nuovo attacco della speculazione all’Euro lo capiremo fin troppo presto. A questo punto, però, appare di fondamentale importanza cercare di capire fino a quando i mercati saranno disposti a sopportare senza “reagire” un meccanismo che di fatto delega a 3 entità private (che da sole coprono il 90% del mercato) la gestione di una variabile particolarmente delicata quale i rating su aziende, Enti e soprattutto Stati.

In quest’ottica i recenti accadimenti sembrano evidenziare con chiarezza che questo “insano oligopolio” poteva forse sopravvivere in uno scenario caratterizzato da mercati meno sofisticati e suddivisi in comparti stagni, ma non certo nell’attuale sistema finanziario perennemente sotto stress, ad alto rischio sistemico e soprattutto dominato da pochi attori principali (banche di investimento, hedge fund, grandi gruppi bancari etc) in grado di muovere, anche in ottica speculativa, enormi masse di denaro. A meno di non trovarsi al cospetto di “giudici” (appunto le società di rating) di assoluta autorevolezza, dalla reputazione inattaccabile ed universalmente riconosciuta e, soprattutto, dotati di una autonomia totale ed indiscussa.

E, da questo punto di vista, si può affermare con tranquillità che tutto ciò che le società di rating potevano fare per incrinare la propria credibilità lo hanno fatto nel corso degli ultimi anni. Anche perché per minare la fiducia degli investitori non servono per forza prove ineluttabili di comportamenti censurabili: non siamo in tribunale, ma nella sfera dei mercati e questi ultimi non si muovono solo sulla base di prove, ma anche di sensazioni, previsioni, dubbi ed incertezze.

Se esiste il sospetto che le 3 sorelle non abbiano saputo o voluto vedere quello che stava succedendo alle banche USA, se esiste la diffusa convinzione che le stesse abbiano permesso, grazie al loro “sacro imprimatur”, che i titoli “infetti” raggiungessero e contagiassero perfino i portafogli più degni di tutela (quelli delle vedove e degli orfani dicono gli anglosassoni), è necessario voltare pagina.

E se, soprattutto, gli allarmi dati “ad hoc”, le strane tempistiche, i conflitti di interresse hanno fatto sorgere dubbi sulla reale indipendenza delle Agenzie dai propri azionisti tra i quali spiccano, come noto, gestori di enormi Fondi di investimento, società di investimenti con interessi in ogni comparto, public company attive, oltre che nella finanza, anche in settori strategici quale l’editoria, è evidente che il meccanismo debba essere rivisitato. Anche perchè, se si abbraccia la tesi di alcuni economisti che ritengono benefico per il mercato che questi ultimi soggetti seguano il loro istinto speculativo sfruttando al meglio le diverse situazioni per ottenere extra profitti, qualche piccola riserva sulla opportunità di affidarci “in toto” al perentorio giudizio delle 3 sorelle, da questi controllate, sorge assolutamente spontanea.

Il problema è che l’istituzione di un serio controllo sulle Agenzie – solo in parte affrontato da recenti direttive la cui reale efficacia è ancora tutta da dimostrare – diventa ogni giorno più urgente in quanto i prossimi periodi appaiono particolarmente delicati: qualora l’Europa non riuscisse a convincere i mercati di aver approntato meccanismi di intervento rapidi e condivisi a sostegno dei propri membri in difficoltà, la speculazione sistemica potrebbe, questa volta, puntare direttamente al “bersaglio grosso” (la Spagna? l’Italia?) con conseguenze difficilmente prevedibili.

E, francamente, in questa prospettiva, il solo pensare che le Signore del rating possano nuovamente “scorrazzare” impunemente per i mercati seminando lo scompiglio ed ostacolando qualsiasi tentativo di soluzione, come avvenuto nella fase critica della crisi ellenica, fa veramente venire i brividi.

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