Il punto sulla crisi – 75 / La febbre maltese

Pubblicato su: www.teleborsa.it

Come ampiamente evidenziato dai media, l’inizio di Giugno è stato caratterizzato da un accadimento di primaria importanza per il nostro Paese: l’uscita di fatto dell’Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo imposta dall’UE nel lontano 2009.

Il peso specifico dell’evento in sé, abbinato alle aspettative che lo hanno immediatamente avvolto, inducono a fare alcune riflessioni. La prima riguarda la “genesi” dell’evento: anche i più fieri fautori delle politiche espansive dovranno ammettere che la chiusura della citata procedura di infrazione – che in questi ultimi anni ci ha privato di ogni elasticità sul lato della gestione della nostra spesa pubblica – è figlia di quel doloroso rigore di bilancio imposto dalla prima fase del governo Monti. Questa considerazione non vuole assolutamente essere una difesa a spada tratta dell’operato del precedente governo, ma vuole semplicemente mettere in evidenza come tale rigore, nella situazione di assoluta emergenza in cui ci siamo trovati alla fine del 2011, fosse probabilmente ineludibile; a molti sfugge come in quei momenti drammatici l’obiettivo primario del governo non fosse quello di “fare qualcosa di nuovo”, ma di impedire che accadesse un “qualcosa di grave ed irreversibile”. Totalmente diverso, invece, il giudizio sulla seconda parte del governo Monti quando la predisposizione di una Legge di Stabilità incomprensibile (totalmente riscritta da Brunetta & C) evidenziava ormai un totale scollamento tra governo e situazione reale del Paese.

La seconda considerazione riguarda, invece, il presunto “tesoretto” derivante dall’essere tornati tra i Paesi “in bonis”. Da questo punto di vista forse è bene convincerci che questo tesoretto, che tanto eccita le fantasie di spesa dei politici, in realtà, non esiste o, quantomeno, è già stato impegnato nel tentativo di risolvere l’improcastinabile problema dei debiti della PA verso le imprese. Ciò che invece ora si può fare è premere, da una posizione più favorevole, sull’UE per reclamare con forza una maggiore elasticità e più ampi spazi di manovra sul versante della spesa pubblica anche sfruttando i vantaggi conseguenti ad un livello di spread più “umano”. Da non trascurare, a questo proposito, che il momento appare piuttosto favorevole e lo sarà ancora di più dopo le elezioni di settembre in Germania: Spagna, Francia, Slovenia, Polonia, Portogallo e persino l’Olanda hanno già ottenuto proroghe al raggiungimento dei target di deficit, mentre i dati drammatici sulla disoccupazione europea hanno aperto le prime brecce nello schieramento dei paesi “intransigenti”.

Al contrario (terza considerazione) ciò che sicuramente non possiamo fare è vanificare i risultati raggiunti cedendo a tentazioni di finanza allegra dettate da considerazioni elettorali o, peggio, evidenziare una impasse politica in grado di bloccare qualsiasi riforma strutturale.
Anche perché il rischio è quello di contrarre la “febbre maltese”: Malta è uscita circa sei mesi fa dalla procedura per deficit eccessivo ed oggi è nuovamente sotto l’attenta sorveglianza della Commissione europea per avere subito aperto, piuttosto allegramente, i cordoni della borsa.

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