Il punto sulla crisi – 72 / Il vero rischio

Pubblicato su: www.teleborsa.it

Volendo per un attimo mettere da parte le nostre questioni di natura politica (i cui effetti comunque non tarderanno ad incidere sulla sfera economica – finanziaria italiana), appare importante soffermarsi per un attimo sui numerosi dati macroeconomici appena sfornati dall’Istat per poi fare alcune brevi considerazioni a riguardo.

Purtroppo, come si temeva, l’ultimo trimestre ha dato il colpo di grazia ad un 2012 che non sarà facile da dimenticare: il nostro PIL, attestandosi a -2,4 %, ha di fatto sfondato le peggiori previsioni trascinando con sé i due indicatori principi, ossia il rapporto deficit/PIL che ha registrato un deludente 3% (si prevedeva un 2,6%) ed il rapporto debito/PIL che si è attestato al 127%. Da non trascurare che anche il saldo primario, nostro cavallo di battaglia e base di partenza fondamentale per l’abbattimento del nostro debito pubblico “monster”, si è ridotto considerevolmente segnando un non disprezzabile, ma deludente 2,5% (previsioni intorno al 3%).

Fin qui i macro-indicatori più “astratti”: il problema è che l’Istat ha evidenziato chiaramente come la tenacia dell’attuale crisi stia progressivamente intaccando in profondità anche il tessuto sociale ed imprenditoriale del nostro Paese. Infatti, nel corso del 2012, i consumi finali delle famiglie sono scesi quasi del 4% e la spesa delle stesse si è ridotta del 4,3% (vestiario calzature -10%). Ma, ovviamente, il capitolo più triste rimane quello della disoccupazione: a Gennaio 2013 abbiamo raggiunto i 3 milioni di disoccupati corrispondenti ad un tasso dell’11,7% (peggio di noi solo Spagna e Grecia). Non trascurerei, a questo proposito, il divario che si sta progressivamente aprendo tra le nostre regioni meridionali che evidenziano una disoccupazione ai livelli dei Paesi in crisi conclamata (Campania, Sicilia e Calabria hanno un tasso intorno al 20%) e le regioni del nord che, con una disoccupazione intorno al 7%, si muovono in linea con i Paesi “teutonici”.

A questo punto un paio di considerazioni sui dati sin qui evidenziati.

Prima considerazione: la drammaticità della situazione non sta tanto nei dati Istat relativi al 2012 (in fondo è acqua passata), ma nel fatto che il trend degli indicatori macroeconomici gettano una luce sinistra anche sul 2013 mostrando in tutta evidenza la capacità dell’attuale crisi di rigenerarsi e di resistere ai comuni antidoti economici e finanziari. Quanto detto è confermato dalle previsioni relative, appunto, al 2013: infatti, mentre pochi mesi fa molti osservatori collocavano l’inizio della ripresa a metà dell’attuale anno e prevedevano per l’Italia un calo del PIL assai contenuto, attualmente si inizia a ritenere che nulla di buono possa accadere prima del 2014 e che il PIL dell’Italia per il 2013 evidenzierà un ulteriore calo dell’1%. D’altra parte anche Mario Draghi, di recente, ha dovuto ammettere che gli stimoli di natura finanziaria sino ad oggi iniettati nel sistema non riescono ancora ad incidere positivamente sull’economia reale.

Seconda considerazione: paradossalmente la situazione descritta rischia di aggravarsi ulteriormente in quanto la locomotiva tedesca sembra proprio aver riacceso i motori. Il problema è che, purtroppo, il movimento della locomotiva è ancora troppo debole per trainare a rimorchio le economie dei Paesi europei più deboli, ma abbastanza significativo per ampliare a dismisura il divario esistente tra il nostro Paese da una parte e la Germania ed i suoi satelliti dall’altra. Da questo punto di vista i dati più recenti sembrano concordi: a fronte di una previsione di crescita del PIL teutonico ancora modesta nel 2013, ma molto più accentuata nel 2014, le imprese tedesche evidenziano una crescente vitalità trainata dall’export, dalla capacità di convivere bene con un Euro forte e dalla possibilità di finanziarsi a basso costo (2 punti percentuali in meno rispetto alle PMI italiane). Il risultato di tutto ciò è un tasso di disoccupazione del 5,3% (ai minimi storici ed in ulteriore riduzione) nettamente al di sotto della media dell’area Euro (11,9%).

La preoccupazione nasce semplicemente dal fatto che più si apre questo divario tra Italia e Germania e più divergono le ricette economiche e finanziarie elaborate dai due Paesi per contrastare la crisi; se abbiniamo a ciò la concreta possibilità di essere di fatto estromessi, a causa della nostra attuale instabilità politica, da quella cabina di regia europea che prende il 60% delle decisioni che poi ci riguardano, il vero rischio è quello di trovarci, entro breve, a subire passivamente le decisioni di gente con ideali e problemi molto differenti dai nostri.

E questo sarebbe un problema molto serio.

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